Daniele Semeraro

Giornalista

Viaggio a Shenzhen, la smart city cinese dove nascono i nostri smartphone


Sky TG24 ha avuto la possibilità di partecipare all’Innovation Day di Oppo e di visitare una fabbrica di smartphone in una delle città più tecnologiche del mondo, da cui proviene la maggior parte dei nostri smartphone

Oltre 12 milioni di abitanti divisi in sei contee, una superficie di 2.000 kilometri quadrati che si affaccia sul mar della Cina meridionale proprio di fronte all’isola di Hong Kong, con cui è collegata con un lunghissimo ponte e un treno superveloce. Shenzhen fino agli anni Ottanta era una semplice città di pescatori, adesso è diventata una smart city pulita, green, ipertecnologica, che ospita alcune tra le principali aziende di tecnologia. Come Oppo, che ci ha aperto le porte del quartier generale e di una sua fabbrica in occasione dell’Innovation Day 2019.

La città 

Arrivando a Shenzhen da Hong Kong – l’aeroporto internazionale è certamente il più comodo per visitare la megalopoli cinese arrivando dall’Italia – si notano subito tanti parchi e tanti grattacieli. Il nuovo modello di città voluto da Deng Xiaoping, aperto a investimenti economici stranieri, ha registrato negli ultimi 40 anni la crescita più veloce al mondo. Spiagge, giardini, centri commerciali, ristoranti alla moda, decine di grattacieli tra cui il quarto più alto al mondo, case costosissime da 10mila euro al mq. Shenzhen è una smart city all’avanguardia pulitissima, silenziosa, con un sistema di trasporti che fa invidia alle città europee del nord e con una flotta di auto, taxi, bus e motorini tutti elettrici. L’inquinamento estremo, l’assenza di infrastrutture e di servizi primari o le baraccopoli – problemi diffusi nelle megalopoli asiatiche – da qui sembrano molto lontani. Anzi, camminando per i larghi viali sembra di essere in una città occidentale. 

Auto autonome, pagamenti elettronici, pali “intelligenti”

A Shenzhen hanno sede tutti i principali colossi cinesi delle telecomunicazioni. La rete cellulare 5G è realtà e si paga praticamente solo con lo smartphone: il ristorante, il taxi, una spesa al mercato: in pochi accettano carte di credito, di contanti se ne vedono sempre meno e tutti pagano attraverso WeChat, un’applicazione del tutto simile al nostro Whatsapp che integra un sistema di pagamento comodo e immediato (purtroppo ancora non accessibile a stranieri e turisti). Qui iniziano a vedersi anche le prime auto a guida autonoma, come un camioncino che funge da distributore automatico di bevande, che gira per le strade e che si ferma non appena con il cellulare inquadriamo il codice QR stampato sulla carrozzeria. Shenzhen è anche la capitale delle telecamere di sorveglianza: ve ne sono 5-6 per ogni palo della luce, in tutta la città: servono per monitorare traffico, la qualità dell’aria, per diffondere il segnale 5G ma soprattutto per la sicurezza. Non ci sono strade o angoli che sfuggono al controllo del grande fratello. Ma qui i cittadini con cui abbiamo parlato non si sentono infastiditi da un controllo così capillare: anzi si sono detti contenti di poter uscire la sera senza rischi per la propria sicurezza. La tecnologia viene utilizzata anche per il controllo degli accessi in palazzi, uffici, ascensori, con riconoscimento di impronte o riconoscimento facciale che ormai hanno soppiantato i badge. 

Il quartiere di Huaquiangbei, il Suq della tecnologia

A Shenzhen – capitale indiscussa dell’elettronica – vengono prodotti la grande maggioranza degli smartphone e di tanti altri dispositivi elettronici utilizzati in tutto il mondo. Gli smartphone in giro sono talmente tanti che per strada o in metropolitana annunci sonori ricordano agli utenti di prestare attenzione all’ambiente circostante mentre camminano. E qui è presente anche il chilometro più tecnologico del mondo: Huaquiangbei, una zona in cui negozi più o meno ufficiali e tanti mercatini – una sorta di Suq del 2020 – vendono cellulari di tutti i tipi ma anche cuffie, cavi, tastiere, chip, transistor. Decine di addetti dietro ai banconi aspettano cittadini e turisti e – pur parlando pochissimo inglese – riescono a farsi capire a gesti o con i traduttori automatici. 

Oppo Innovation Day

A Shenzhen abbiamo avuto la possibilità di partecipare all’Innovation Day di Oppo, azienda presente in oltre 40 paesi e con più di 40mila dipendenti. Durante il suo discorso di apertura il fondatore Tony Chen – che non si faceva vedere in pubblico da oltre 6 anni – ha raccontato la sua visione del futuro, ribattezzato “era dell’internet del tutto”. “Tutti gli sforzi – spiega Chen – devono essere orientati nel rendere tutto connesso in modo intelligente ed efficace, servizi e tecnologia devono convergere e non si deve avere paura che le macchine pensino come gli uomini, ma semmai del contrario”. “Crediamo che la definizione di connessione – racconta ancora il fondatore – sia solo la base sulla quale integrazione e convergenza dei prodotti rappresentino il futuro”. La strategia di connettività intelligente di Oppo si compone, conclude Chen, “di quattro elementi chiave quali la convergenza di tecnologia e servizi, la convergenza organizzativa, la convergenza delle cultura e la convergenza di tecnologia, arte, scienze umanistiche”. 

I prodotti e i prototipi presentati da Oppo

Oppo – che ha annunciato un investimento di 7 miliardi di dollari (circa 6,5 miliardi di euro) nei prossimi tre anni in ricerca e sviluppo – ha presentato diversi dispositivi connessi tra cui uno smartwatch, cuffie wireless smart, un modem-router 5G che farà da centro di connettività dell’intera casa o dell’intero ufficio in grado di gestire fino a 1.000 dispositivi contemporaneamente, occhiali in realtà aumentata utili per l’istruzione o per l’intrattenimento. E poi abbiamo potuto toccare con mano la già annunciata under-screen camera, una fotocamera frontale praticamente invisibile integrata nello schermo dello smartphone, e la nuova tecnologia VOOC 2.0 che permetterà a breve di ricaricare uno smartphone in meno di mezz’ora.

La fabbrica e il centro ricerca 

Oppo ci ha dato anche la possibilità di visitare un impianto di produzione e un centro di ricerca sulle tecnologie del futuro a Dongguan che dà lavoro a 20mila dipendenti: una “fabbrica” – se così possiamo chiamarla – quanto di più lontana dalla nostra idea di fabbrica cinese. Per entrare abbiamo dovuto indossare copriscarpe, camici e cappello protettivi e transitare per una camera che attraverso forti getti d’aria elimina polvere e batteri dai vestiti. La catena di montaggio lavora 24 ore su 24. Tante operazioni sono svolte dai robot ma altrettante da operai. Ognuno di loro è specializzato in una singola operazione, che viene compiuta in velocità migliaia di volte al giorno: c’è chi inserisce un cavo, chi mette della colla, chi mette due viti, chi prova la fotocamera, chi apre le scatole, chi imbusta. Ogni smartphone viene fatto passare attraverso diversi macchinari che simulano oltre 42mila tipi di caduta, oltre 100mila tipi di pressione diversa dei tasti, un milione di test dell’impronta e del touchscreen, decine di test di resistenza a polvere, umidità, pioggia. Il lavoro è duro e spesso alienante, non esiste la possibilità di scioperare e non ci è stata data la possibilità di conversare con gli operai. Ma – almeno per quello che abbiamo visto – gli addetti alla produzione di uno tra gli oggetti che più utilizziamo ogni giorno, qui lavorano in un ambiente salubre e dignitoso.


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